martedì 31 gennaio 2012

muore splinder e Picciokku emigra

il popolo delle nanità...ama Brighella, servo e sicario.


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domenica, 11 ottobre 2009
Meno male che Milva c'è!

Ottima Milva. Speriamo che qualcuno dei tanti ignari che hanno allegramente consegnato il paese a questo avventuriero, ascoltandola, finalmente rinsavisca.Amburgo - Dalla Germania, un duro attacco a Silvio Berlusconi arriva da un personaggio al 100% italiano: parliamo di Milva, che, in un programma registrato per la tv tedesca Ard (e che andrà in onda domani sera) ha definito il premier "un povero folle che non capisce più nulla".
"Semplicemente - ha proseguito la cantante e attrice - Berlusconi non è intelligente. Pensa di essere migliore degli altri, ma non lo è". Ancora, Milva ha sottolineato che "ci sono persone che non hanno senso del bene comune, ma che pensano solo ai loro interessi". Vista dunque la situazione politica italiana, ha concluso il ragionamento, lei sta pensando di lasciare il Paese: "L'Italia è semplicemente insostenibile. Forse mi stabilirò a Zurigo, a Berlino, o da qualche altra parte in Germania".


(da Repubblica.it, 11 ottobre 2009)


Divorare una biografia dopo l'altra per persuadersi meglio dell'inutilità di qualsiasi impresa, di qualunque destino







Il penoso Viale del Tramonto del Cavaliere

Una ottima fotografia dello statista che ci governa, con una penetrantissima occhiata sul narcisismo dell'anziano egocentrico (cioè invecchiato male).

di Lidia Ravera, da lidaravera.it

Un vecchio, più vecchio dei suoi anni, un uomo che non riesce più a controllare le sue emozioni, che ha perso, o sta perdendo, il contatto con la realtà. Questa è l’impressione diffusa (non proprio un opinione quanto piuttosto una sensazione) di fronte al Berlusconi più recente. Quello dell’aggressione a giornali e giornalisti “incontrollabili”, a ogni opposizione (anche minima), ai meno subalterni dei suoi partners di maggioranza.
Colpisce la voce stridula, l’arrancare in cerca di una costruzione sintattica condivisa, di un aggettivo appropriato, di un epiteto efficace. È stupefacente l’infantilismo burbanzoso delle lodi rivolte a se stesso: io sono il miglior Presidente del Consiglio da prima che nascesse il mondo, io sono il più bravo di tutti e il più ricco e il più fico e tutti quelli che dicono il contrario sono invidiosi e a tutte le ragazze piace moltissimo stare alle mie cene con me medesimo e figuriamoci se le pago che fanno la fila per baciarmi le babbucce.
È quell’allentarsi dei freni inibitori, quel “me ne frego” che sottende ogni esibizione di protervia tipica dell’estrema vecchiaia e debolezza, quando, in fondo, non te ne importa più niente del giudizio degli altri, vedi soltanto te stesso e la fine che si avvicina. Allora gridi e ridi e rilanci, perché ti senti solo e hai paura.
Non per tutti la vecchiaia è così brutta, ma per i narcisisti assoluti sì. Infatti, nonostante tutto, mi fa pena, Silvio Berlusconi: contestato dal cinquantenne Fini, così padrone di sé stesso, dignitoso, quasi solenne, minacciato dal neosessantenne Bossi, così ruspante da essere radicato nel territorio come un tubero vincente, rifiutato dal cinquantenne Casini, così pericoloso da quando la Cei ha rivelato che nel Regno dei Cieli non si possono portare le escort.
Mi fa pena come tutte le “Star” quando imboccano il Viale del Tramonto.

(18 settembre 2009)




Postato da: pirosklazomane a 18:58 | link | commenti (2)

lunedì, 14 settembre 2009
La bava dei servi

Splendido articolo di Francesco Merlo, oggi, su Repubblica. Andrebbe letto nelle aule scolastiche, dove, secondo il "Ministro", non si dovrebbe fare politica...

Ogni giorno c´è un ministro dell´Astio, il sovrauomo Brunetta innanzitutto, che vomita trivialità ora su uno ora su un altro pezzo d´Italia: i cineasti sono parassiti, la borghesia è marcia, i professori sono ignoranti, gli statali sono fannulloni, gli studenti sono stupidi, gli economisti sono sconclusionati… Insomma ogni giorno arriva un insulto, un dileggio o una derisione a carico di una categoria sociale diversa. E sono parole rivelatrici, più di un album di fotografie, parole che sono la verità di questi uomini.
parole che esprimono il senso compiuto di questi cortigiani del Principe che hanno un conto aperto con la natura o con la società e approfittano del loro potere per sfogarsi, come quei personaggi di Stendhal che cercavano a Parigi il risarcimento degli affronti subiti in provincia.
E infatti non si erano mai visti governanti così furiosi contro i governati. Giganti in esilio dentro corpi politicamente troppo angusti, Brunetta, Gelmini, Bondi e, qualche volta, anche Sacconi e Tremonti, trattano l´Italia come una pessima bestia da addomesticare, hanno elevato il disprezzo ad arte di governo, vogliono far espiare al Paese le loro inadeguatezze e le loro frustrazioni.
Bondi per esempio crede che la cultura sia il computo di sillabe in versi sciolti. Brunetta, che non sopporta la bassezza degli indici di produttività, vorrebbe disitalianizzare l´Italia per farne un campo di concentramento laburista: il lavoro detentivo rende liberi, belli, grandi e anche biondi. La Gelmini persegue un sessantotto al contrario che lobotomizzi fantasia e dottrina e mandi al potere i ragionieri con la lesina come scettro.
Di Bossi è inutile dire: vanta una lunga carriera fondata sulla parolaccia, sul dito medio, sulla scatole rotte, sulla carta igienica, sul ce l´ho duro…
Benché nessun governo abbia mai teorizzato e praticato l´offesa dei propri elettori come scienza politica, l´attacco alla cultura non è certo una novità. Goebbels, che era piccolo, nero e zoppo, metteva la mano alla pistola. Scelba, che era calvo e rotondo come un arancino, coniò il neologismo – culturame – ora rilanciato da Brunetta. Anche Togliatti sfotteva in terronio maccheronico il terrone Vittorini, e più in generale il Partito comunista riconosceva solo gli intellettuali organici, cioè gli intellettuali senza intelletto ma con il piffero…
Insomma, fare guerra alla cultura è sempre nevrosi, alla lunga perdente, ed è comunque manganello nelle sue varie forme, reali e metaforiche. Oltraggiare la cultura è uno scandalo penoso: è come sparare in chiesa, impiccare i neri, imputare all´immigrato clandestino la sua miseria, punire la sofferenza come un reato. Ed è un altro modo di organizzare ronde, magari sotto forma di squadracce ministeriali: prediche, comizi, fatwa…
Se Brunetta potesse pesterebbe i vari Placido d´Italia, da Dario Fo a Umberto Eco e, per imparzialità, anche Pippo Baudo e Fiorello. Per Brunetta e Bondi, infatti, gli uomini colti sono la misura della propria dannazione, lo specchio della propria nudità, come Berlusconi visto dalla D´Addario.
Con quegli uomini, che ora chiamano parassiti, Brunetta e Bondi non sono mai riusciti ad intrattenersi neppure quando militavano a sinistra. È da allora che covano rancori. Odiano i salotti (cioè le buone maniere) che li tenevano a distanza. Disprezzano i libri che non hanno letto né tanto meno scritto e che per il popolo della Padania sono ciapa pulver, acchiappa polvere, deposito di pulviscolo.
Sono rancorosi, Brunetta e Bondi, perché sono stati di sinistra e ora ne sono pentiti visto che solo la destra plebea e indecorosa li ha “capiti”, promossi e ben ripagati. Come gli ebrei convertiti dell´Inquisizione cristiana rimproveravano a Cristo la debolezza di amare tutti, così questi ministri cortigiani rimproverano alla casa di produzione Medusa, che appartiene al loro dio, di investire sui nemici di dio, sudditi infidi che loro conoscono come se stessi.
Dunque i ministri dell´Astio danno del parassita agli artitisti di sinistra perché non sopportano che siano sovvenzionati dal loro stesso padrone senza neppure baciargli la mano. Addirittura quelli gliela addentano! Ebbene questa, signori ministri dell´Astio, è stizza.
È la stizza di chi, per avere i favori del Principe, non ha badato a spese, ha cambiato i propri connotati, ha ceduto l´anima, si è legato a doppie catene al suo carro. E ora vede che i vari Placido – non importa se bravi o meno – non si sono fatti ipnotizzare dalla medusa che li paga.
In buona sostanza, l´insulto come forma governo è espressione di malafede e di malessere, un impasto di vita vissuta male e di autoespiazione forcaiola: un film drammatico insomma.
Dunque Michele Placido non li quereli, ma li metta in scena. Con i soldi della Medusa. Titolo? “La bava dei servi”.

 
Un normalissimo Tg4 di fine estate

Completo chiaro, capello in ordine, pelle un po’ stracca nonostante la sarda abbronzatura. Ma la forma non manca mai. È vecchio del mestiere, lui. Son decenni che lo esercita impeccabile. Emilio elenca i titoli dei servizi. Si parlerà di attualità politica? Delle recenti, fangose vicende? Ma certo: annuncia “interviste raccolte in giro per Milano”. Un attimo di pazienza. Parte un lunghissimo commento al controesodo estivo, con tanto di spettacolari riprese dall’elicottero. Tutto è fatto per rassicurare: lunghi incolonnamenti, certo, caselli intasati; ci si immagina il caldo, il sudore, il nervosismo; ma, dall’alto, tutto sembra magicamente in ordine, quasi bello; la voce autorevole e ferma dell’ufficiale pilota tranquillizza, toglie l’ansia; sembra dire, “eccoli i soliti Italiani casinisti e caciaroni, che tornano partendo tutti assieme, lo stesso giorno, alla stessa ora; ma non preoccupatevi, ci siamo qui noi a sorvegliarli, nel caso i casini fossero troppo grandi…”.

Arrivano  le annunciate “interviste”. Milano: quattro sfigati sotto il sole parlano con in mano un quotidiano aperto. “Che leggeva signora?”,  “Ah..nulla..di questa storia dei bagagli smarriti negli aeroporti”. “E lei signore?”, “Oh …niente…di questo caso di influenza a Monza”. “E lei?”, “Ah…vede,  qui, ‘sta storia del Vescovo, che se la prende con l’attacco disgustoso contro l’Avvenire…ma, senta, per me, dico…di attacchi disgustosi ce ne sono stati da tutte le parti, in questi mesi…”. Ultimo intervistato “Lei che leggeva?” “Ehhh…leggevo del clima...ha fatto troppo caldo sinora; speriamo ci lasci un po’ in pace”.Morale della favola: su quattro italiani, tre se ne fregano delle faccende politico-sessuali del Cavaliere, e uno gli dà ragione. Queste le “riflessioni della gente”, come dice l’ineffabile Emilio.Si passa all’Influenza in arrivo. “Niente allarmismi”, si premura di ammonire il Direttore, anche se – aggiunge – nulla deve ovviamente essere nascosto alla pubblica opinione. La parola all’illustre infettivologo: “certo, certo, arriverà ad Ottobre, ma cribbio! sopravviveremo! Non è mica vaiolo!”. L’Emilio annuisce soddisfatto. È adesso la volta di Silvio l’africano: eccolo il capo del governo della Repubblica che abbraccia l’amico Gheddafi. Gran giorno questo! Si fa festa ad una dittatura quarantennale; nulla di più adatto per inaugurare i cantieri della grande litoranea che costruiremo noi italiani. In cambio – siamo mica fessi – ci sono buoni affari, anzi ottimi: metano del deserto a volontà e più controllo sulle spiagge dei barconi. Quinto servizio: preparativi del congresso PD; poveracci, naturalmente se le danno di santa ragione, il clima è quello di “veleni e pugnali”. Sesto servizio: intervista a Nicola La Torre, PD, uno scelto a caso. “Troppo antiberlusconismo, senatore?”; risposta: “Non si può essere solo un partito dei no”. Scorre il miele nel padiglione di Emilio; è tutto un gongolare. Settimo servizio: meeting di Comunione e Liberazione: eccola finalmente una gioventù sana. Ottavo: pazzie del tempo, tromba d’aria a Savona, vola per aria un pattino, paura e contusi in spiaggia. Nono: vacanze ad Ischia: c’è chi arriva e c’è chi parte. “Vacanze finite, signora?”, “Ehh…purtroppo sì”. Decimo “reportage”: campionati mondiali di tango a Buenos Aires.

Fine del Tg4; e fine dell’estate. Chiusura sorridente: solita battutina vetero/galante con la giornalista al monitor; e arrivederci alla prossima!Della cosa di cui tutte le prime pagine rigurgitano, del fatto che la sparata di Feltri contro il direttore dell’Avvenire, pare si basi su fonti pericolosamente dubbie; di questo, nulla, niente, silenzio di tomba, neppure un sospiro, un fiato.Ah! Dimenticavamo: i campionati di tango argentino, li ha vinti una coppia giapponese.

Gigi Monello 

Corpo 18

Ovvero, "L'arte è un appello al quale molti rispondono senza essere stati chiamati." (Leo Longanesi)
Il congegno della serata era perfettamente oliato, il titolo di un’audacia mai vista, “Launeddas all’idrogeno”. Un’idea brillante, come sempre venuta a lui, il suo nume e mentore, il critico-amico, Euforbio. Tutto gli doveva: massime, di avergli spiegato come funziona l’arte. “Vedi – gli diceva – non illuderti: vendere quadri non conta. Conta quanto si parla di te. C’è gente di fama consolidata, invitata, citata, stracitata, che ha venduto pochissimo. Dà retta: coltiva l’ambiente”. Era saggio Euforbio; un uomo saggio e buono; che certo non si meritava di venir trascinato all’altro mondo da una cosa volgarissima come un cancro alla prostata. Una roba da tutti. Destino infame…Lui, che aveva lasciato al mondo cose immortali come, “Il manuale del pittore come uomo sociale”, il cui capitolo 7°, (“Dell’arte di convertire in bello ciò che è soltanto difficile a capirsi”), era diventato oggetto di tesi universitarie e comunicazioni tra dotti. Lui, l’ineguagliato costruttore di aforismi (“Se l’arte è menzogna, non è men vero che la menzogna è arte”). Lui, l’intellettuale forbito, ironico, luciferino, spacciato da un male che viene pure a domestici e benzinai.
Ahhh…ma l’ultima idea brillante aveva pur fatto a tempo a lasciargliela, l’arma risolutiva, quella che finalmente l’avrebbe consacrato perfetto pittore della sua provincia: Launeddas all’ idrogeno, appunto.
“Vedi –usava dire– l’arte è come un sistema chiuso, autoreferenziale…”. Oh! Quella parola! Così lunga e difficile, a u t o r e f e r e n z i a l e…che gusto, che suono; aveva iniziato ad usarla molto tempo prima di averne capito il senso; una parola densa, profonda, oscura al punto giusto.
Intendiamoci: non sempre Euforbio parlava difficile. Anzi, talora inclinava persino al popolaresco. Notissima, e passata in leggenda, quella volta che aveva zittito una saccente e ipertricotica Accademica dell’arte, fulminandola con un “ma si vada a fare una ceretta!” E un’altra, che aveva liquidato un malcapitato che lo contraddiceva con un, “ma vada a rubare un motopicco!”.
Un giorno, seduto al bar, Euforbio aveva disposto in cerchio un accendino, un tappo di sughero, un bicchiere, una sigaretta, una tazzina e qualcos’altro; poi, con diabolica lentezza, aveva cominciato, “Vedi, questo è l’artista, questo il gallerista, questo il critico, l’assessore, il giornalista…Allora, funziona così: tu inventi una mostra dal titolo bizzarro, il gallerista-amico te la ospita, l’assessore-amico te la inaugura, il critico-amico te la presenta, il giornalista-amico te la recensisce sul quotidiano locale. Il gioco è fatto. Tu leggi, ti gasi, e nove mesi dopo hai già in canna un'altra mostra. E il giro riparte. Non hai venduto neppure un quadro che sia uno?! Fa nulla. Stai in corpo 18 sul giornale. E questo basta.”
Si avvicinava la data fatale e Launeddas all’idrogeno era sulla bocca di tutti: si chiacchierava, si domandava, si ipotizzava. Qualcuno – un decrepito giornalista che in gioventù le aveva suonate – gridava alla dissacrazione. Venne infine il gran giorno: il Discepolo di Euforbio si vestì secondo i precetti del maestro – che suggeriva, per queste occasioni, una “eleganza sbadata” – poi provò allo specchio 77 volte un “sorrisetto di metafisica nausea” – anch’esso raccomandato nel manuale –; quindi uscì e si incamminò. Stava pensando a quale aerea battuta fare all’ingresso in Galleria, quando sentì il piede destro orrendamente scivolargli in avanti. “Dio!  – pensò sconvolto – fa che non sia quello che temo!” Mise una mano sulla cantonata e ruotò lentamente la suola verso l’alto: nessun dubbio. Rifiuto solido organico, deiezione biologica, immondo prodotto finale di  digestione canina. Insomma, merda. Stramaledisse tutti i cani della città e le anziane signore che se ne dilettavano; poi, volgendosi assorto verso Monte S. Michele dove, sotto un cipresso, ne imputridivano romanticamente le ossa, mormorò, “Euforbio, amico di una vita, tutto prevedevi, Tu. Ma ti sfuggì l’escremento.”

 Gigi Monello


giovedì, 27 agosto 2009
declamatio number one

Ritegno alcun non ho
nel dirti infine che
per quanto io ne so
non tocca affatto a me
se vuoi procurerò
per far contento te
di andar dove non so
ma il resto spetta a te
Sperando che fra tre
secondi arriverò
a definir perché
ti piaccia tanto e un po’
Di certo io non so
quello che aggrada a me
essendo già da un pò
che appare un alcunché
Ammesso che però
non dispiacendo a te
si possa fare sì
di aprire un altro che
io pregoti perciò
di fare a meno che
quantunque che con ciò
conciòsiacosaché;
l’ameno che ti do
ha un certo non so che
dimodoché vorrò
tanto e talmente che
di fatto non lo so
ma adesso mi urge che
tu sappia dove sto
durante un perciocché
indaffarato o no
incerto di un checché.
Infine io però
vengo a chiarirti che
financo neanche un po'
di senso qui ce n'è.

 

il Cavaliere De Escortis e le Pape


Storico incontro e scambio di battute, ieri, a Ciampino, sotto lo sguardo di vago compatimento del cardinal Bertone, tra il Papa in partenza per la Repubblica Ceca, e il Cavaliere de Escortis, in arrivo dagli USA. "Presidente, che gioia vederla... lei torna ora dall'America". Al che, risuona nell'aria la frase destinata a restare immortale negli annali della galassia, "Santità, ho corso nei cieli per essere puntuale". Che, riconosciamolo, fa molto Nembo Kid.Intanto AnnoZero spara in faccia al popolo ignaro (alla "gente") una bella intervista alla D'Addario. Ciò che il mondo ha già visto, finalmente lo vedono, ora, anche i diretti interessati.Insomma, diciamola tutta: l'economia va male, la scuola affonda, la sanità annaspa, i servizi pubblici zoppicano, in Afghanistan ci sparano addosso; però, in compenso, abbiamo un Presidente del Consiglio che non sbaglia una mossa.

L'ultima volta ieri, a Pittsburgh, saluto ufficiale alla statuaria Michelle Obama; il Cavaliere le si fa incontro, alza entrambe le mani, fa una smorfia teatrale, come dire, "Ma che strafiga che ti sei procurato, caro Barack, ed è pure gratis!". Roba da imbarazzare persino un pastore di Oliena fatto di birra, al sabato sera.

Bene, consoliamoci, il mondo parla di noi; siamo diventati la barzelletta del pianeta, serviamo a lenire le preoccupazioni per i catastrofici, imminenti cambiamenti del clima: la gente ride e non ci pensa. Come fanno in Egitto, tra palme e piramidi; troppo spiritosi...


Eh sì, riesce sempre più difficile suonarla...

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