domenica 12 maggio 2019

Bull-shit prossima ventura


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di Angelo Bertozzi


Forse sono il solito esagerato, il solito rompiballe, se è così vi prego di dirmelo senza infingimenti, preferisco saperlo. Sto studiando la famigerata ordinanza esami e leggo questa cosa:

Nella relazione e/o nell'elaborato, il candidato, oltre a illustrare natura e caratteristiche delle attività svolte e a correlarle alle competenze specifiche e trasversali acquisite, sviluppa una riflessione in un' ottica orientativa sulla significatività e sulla ricaduta di tali attività sulle opportunità di studio e/o di lavoro post-diploma

Sta parlando di ASL anche se adesso come si fa sempre in Italia ha cambiato nome (e io francamente ne ho piene le uova di questi acronimi e di ‘ste stronzate – primo biennio, secondo biennio, ultimo anno – ma che minchia mi significa! Era così comodo, semplice, lineare, “biennio-triennio”, perché cambiare?)
Nei dibattiti processuali le domanda “suggestive” sono proibite. Secondo voi le parole “competenze acquisite, significatività” non stanno già suggerendo se non addirittura prefigurando la risposta? In altre parole un ragazzo di diciannove anni con la paura del Presidente e degli esterni, sotto lo stress dell’esame, che ricordiamoci sempre non è una bazzecola (intendo lo stress), si può sentire libero di dire fantozzianamente: “per me l’ASL è stata una CAGATA PAZZESCA”? Certo magari non proprio letteralmente, ma insomma ci siamo capiti.

mercoledì 8 maggio 2019

Sui progetti ed altre amenità


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“Quella è una classe pesante, non la posso prendere, io devo fare i progetti.”
                                                (Dichiarazione autentica di una docente)


di Angelo Bertozzi


Nell’ultimo Collegio la coordinatrice ASL ci ha comunicato che al termine del percorso ASL i ragazzi non sanno fare il report, e non sanno fare nemmeno un semplice diario di lavoro. Come risolvere questo grave problema? Niente panico, facciamo un bel progetto ad hoc. (A quel punto la mia attenzione, alla parola progetto, si è istantaneamente azzerata per cui non ricordo bene ma mi pare sia previsto l’intervento di un esperto esterno)
Magnifico esempio di cura omeopatica.
Ora a parte il non trascurabile particolare dell’uso pervicace, insistito, dell’inglese anche quando esistono eccellenti termini italiani equivalenti (relazione, rapporto, non vanno bene?), possibile che a nessuno venga in mente che se gli studenti conoscessero in modo adeguato la lingua italiana il problema di come redigere una relazione o un qualsiasi altro tipo di testo si ridurrebbe a ben poca cosa? Possibile che nessuno veda che il re è nudo? Possibile che nessuno dica a voce alta che abbiamo in aula sempre più ragazzi semianalfabeti, e che anche quelli che non lo sono hanno comunque una padronanza della lingua italiana decisamente precaria e insufficiente.
Certo, capire il perché siamo arrivati a questo non è facile, credo che le ragioni siano intricate e complesse, ma il primo passo è perlomeno rendersi conto che il problema esiste e che è grande come un elefante.
Perché una cura omeopatica?
Ho detto sopra che le ragioni ritengo siano molte, ma sicuramente una è l’impostazione attuale della scuola superiore. Mi riferisco a quella nefasta cosa che è la “scuola azienda”, la “scuola dei progetti”, la “scuola dell’Alternanza Scuola Lavoro”. Se noi togliamo ore ed ore curricolari, impegniamo i ragazzi al pomeriggio in un tourbillon di attività varie sottraendo tempo ed energie allo studio “tradizionale”, poi non è difficile capire come gli studenti siano sempre più deboli in quasi tutte le discipline. La Scuola dei progetti è ormai un luogo eterogeneo di attività varie, e non di rado pittoresche, delle quali la meno importante è diventata ormai quella vecchia, antiquata e superata cosa che è “fare lezione”.
Inoltre anche quando ci si muove sul terreno delle discipline “tradizionali” l’ottica è quella dell’addestramento; le ricette, l’allenamento ai test, la convinzione che esistano sempre degli algoritmi, delle sequenze di istruzioni che permettano di trarsi d’impaccio a fronte di un risultato da ottenere a tutti i costi. L’idea che la scuola non sia solo addestramento ma istruzione e soprattutto formazione sembra scomparsa. Concetti come: autonomia di giudizio, spirito critico, creatività, consapevolezza che è giusto e bello imparare anche cose che non hanno nessunissima utilità pratica e con le quali non si mangia, sono espulsi dall’orizzonte dei nostri ragazzi, e sono cose che solo la scuola può e sa dare, non certo quegli squallidi personaggi che si aggirano per le aule promuovendo qualche “verbo” aziendalistico nelle ore di ASL.
Ma al dunque cosa sono questi “progetti” e perché si fanno?
Una ventina di anni fa qualcuno che al Ministero della pubblica istruzione (allora c’era la parola pubblica) si annoiava fece questa bella e originalissima pensata: ohibò la scuola non si fa solo in aula, bisogna fare altro, bisogna aprirsi al territorio.
In pratica funziona così, un docente cui viene voglia di fare una cosa qualsiasi: torneo di scacchi, conferenza sullo sbarco degli alieni, ultime novità sullo Yeti, stage di cucina sarda, entomologia pratica, egittologia di base, medicina ayurvedica, e via delirando…, presenta al Collegio docenti, per farselo approvare, un bel progetto argomentando che l’attività proposta è congruente con le finalità della scuola e con la sua didattica. Può sembrare difficile spiegare che uno stage di cucina sarda in un liceo classico sia utile o addirittura necessario ai ragazzi, ma non lo è perché nella scuola italiana ci sono i migliori specialisti a livello mondiale nel campo dell’aria fritta. E in ogni caso quando il progetto viene presentato al Collegio docenti chi ascolta? E comunque chi vota contro un’iniziativa di un collega? Come si dice a Napoli pare brutto!
I docenti che fanno i progetti inoltre si beccano qualche liretta in più.
Ora, non penso certo che queste iniziative siano proprio TUTTE sbagliate o inutili (molte si), non penso che i colleghi siano in malafede (alcuni si), penso che sia una questione di priorità. A fronte di ragazzi che in storia si esprimono a livello penoso, che faticano molto a capire concetti anche abbastanza elementari, è utile occupare una o più mattine per portarli all’archivio di stato a farsi una bella ricerchina su documenti originali? Piacerebbe a me, senza dubbio, serve ai miei ragazzi? Forse a uno o due, e gli altri? Ha senso prendere in una mattina di maggio una quinta liceo che si sta preparando all’esame per portarla al torneo di bowling? Se proprio si vuole non lo si può fare al pomeriggio?
Al dunque alla conferenza sui diritti umani o sulla democrazia, magari per il docente interessantissima, tenuta in non pochi casi da relatori che non hanno la ben che minima idea di come si parli a ragazzi di 16-18 anni e che quindi utilizzano un linguaggio e un lessico a loro pressoché incomprensibile, i ragazzi compulsano il cellulare, chiacchierano, tentano di scappare. Che effetti produce in loro l’importantissima attività? Che ricadute ha sulla loro formazione? Inoltre di diritti umani o di democrazia può parlare benissimo il docente in aula a ragazzi che conosce e con i quali è in atto una relazione educativa, abbiamo proprio bisogno di un cattedratico esterno? Le cose che si insegnano a scuola, superiori comprese, sono le conoscenze di base, le cose acquisite, non le ultime novità scientifiche o accademiche (quelle lasciamole alle università e ai dottorati) siamo laureati, abilitati, siamo perfettamente in grado di insegnare quello che dobbiamo insegnare.
Anche quando andavo a scuola io, qualche rara attività extracurricolare (fuori dall’aula), si faceva, e ricordo bene la gioia nell’uscire dalle quattro mura dell’edificio scolastico, il sollievo per le noiosissime lezioni di matematica, filosofia, o altro, scampate. Da questo punto di vista non è cambiato proprio nulla. I ragazzi a priori sono contentissimi di partecipare a qualsiasi progetto, si esce dalla gabbia, verifiche non ce ne sono, non si fa lezione e todos caballeros.
Gli studenti fanno il loro mestiere ma noi facciamo il nostro?
Diamo ai ragazzi ciò di cui hanno più bisogno?
Considerazioni del tutto analoghe valgono per le visite guidate e i famigerati viaggi distruzione (senza apostrofo). Chi può pensare che non siano esperienze bellissime? Certo che spesso lo sono, ma ancora una volta quali sono le nostre priorità? Far contenti i ragazzi, socializzare piacevolmente, o tentare di risollevarli da un’ignoranza e un’insipienza paurosa?
Un viaggio d’istruzione comporta in media una perdita secca di una settimana di lezioni, a volte anche di più, aggiungiamoci progetti, visite guidate, ASL, assemblee di Istituto, assemblee di classe, elezioni, etc., quando si fa scuola? Quando, e se, resta tempo.
Perché i colleghi fanno i progetti? Sono cattivo lo so.
Si becca qualche soldo, si esce dalla scuola e si fa qualcosa di più piacevole e meno faticoso che tenere a bada un gruppo di riottosi adolescenti, si acquisisce un’aura di docente bravo e impegnato.
Queste temo siano le motivazioni, riguardo all’ultima sopraddetta registro un curioso paradosso, spesso (non sempre) i colleghi che fanno molti progetti, essendo appunto molto impegnati in quello, trascurano il banale e trito lavoro quotidiano in aula, cionondimeno, per motivi che hanno a che fare con il marketing scolastico passano per essere i docenti migliori, quelli che danno più lustro alla scuola e si prendono molto spesso il Bonus miglior docente, e così il cerchio si chiude.
E intanto i nostri ragazzi stanno diventando sempre più ignoranti e semianalfabeti.
Peppino Verdi diceva: torniamo all’antico e sarà un progresso.

Mi tolgo un ultimo sassolino dalla scarpa, nonostante tutti i miei sforzi non riesco proprio a capire cosa significa “programmazione per obbiettivi minimi”.
Proviamo a prendere per una volta sul serio i vari documenti che ministero, scuole, enti vari producono sulla scuola, la tanta, tantissima fuffa che sempre più, come quella inquietante massa viscosa di non ricordo più bene quale film di fantascienza, si espande, invade, occupa e soffoca la scuola e il nostro operato. 
-Capacità di esercitare la riflessione critica sulle diverse forme del sapere e sul loro rapporto con la totalità dell’esperienza umana. - Esercizio del controllo del discorso, attraverso l’uso di strategie argomentative e di procedure logiche. 1. Riconoscere e utilizzare correttamente il lessico e le categorie essenziali della tradizione filosofica; 2. Definire e comprendere termini e concetti; enucleare le idee centrali di un testo; 3. Saper riassumere le tesi fondamentali di un testo proposto; 4. Rispettare i principi elementari della logica nell’argomentazione; 5. Saper ricondurre le tesi individuate nel testo al pensiero complessivo dell’autore; 6. Saper ricondurre gli argomenti trattati ai rispettivi contesti storici generali a cui essi appartengono; 7. Saper confrontare e contestualizzare le differenti risposte dei filosofi allo stesso problema- (Ptof del Liceo Motzo – testo mutuato dal documento “Indicazioni nazionali per i licei DM 211 del 7 ottobre 2010”)
Gli obbiettivi proposti in questi documenti, per la maggioranza dei nostri studenti, sono semplicemente lunari, irraggiungibili. In particolare la filosofia per motivi che richiederebbero una lunga disamina, per la quasi totalità dei nostri ragazzi, è semplicemente inaffrontabile. In concreto quindi cosa si fa? Si ridimensionano ampiamente i contenuti e gli obbiettivi ufficiali e a cosa corrisponde quindi un sei? Al raggiungimento minimo degli obbiettivi così ridisegnati. Che cosa significa, da sempre nella scuola italiana, un sei? Sufficienza: sei arrivato a quel minimo che ti consente di andare avanti nello studio. I miei studenti “normali”, (so che è odioso esprimersi così ma diciamocele le cose, andiamo oltre la fuffa) sono quasi tutti in grave difficoltà nel raggiungere la sufficienza, come fanno a cavarci i piedi ragazzi con ritardi cognitivi? Questo per quel che riguarda gli alunni cosiddetti BES, (Bisogni educativi speciali) che vengono avviati su percorsi in qualche modo differenziati, ma succede anche altro, mi sono ritrovato in una quarta due ragazze con evidentissimi problemi comportamentali e ritardi cognitivi senza sostegno, senza PEI, senza PDP, percorso liscio, senza nessun supporto e ausilio, come sono arrivate in quarta?
Chi stiamo prendendo in giro? Le ragazze? Le famiglie? La scuola? Noi stessi?