sabato 20 aprile 2013

Il pensiero dominante

È palpabile, materiale, si taglia a fette. Se per qualche ragione sostanziale (lo avete sposato) o accidentale (lo vedete al bar) vi capita di incontrarne uno, osservatelo e ascoltatelo bene: ha un messaggio doloroso da darvi. È un insegnante, anni 55 o su di lì, un solo desiderio furioso: svanire. Squagliarsela, venirne fuori, pensionarsi. Credo che mai, in passato, il disamore per la professione abbia raggiunto i picchi attuali. Se ripenso ai colleghi anziani dell’epoca in cui ho iniziato io, non riesco a trovare facce tanto incattivite, amareggiate, nauseate. Prima o poi qualcuno dovrà pur provare a raccontarla la vera storia della scuola italiana, del suo sfascio definitivo, e di chi ce la condusse; e dovrà pure essere un tizio con buone aspettative di vita, dato che ne avrà da studiare. Il ventaglio di concause grandi e piccole è distribuito sopra un diagramma tanto esteso nel tempo da far paura; e fattori interni ed esterni si sono talmente incrociati che ormai l’imbroglio è pressoché inestricabile. Il longevo storico spazierà dalle fatuità nuoviste di certa pedagogia “à la page” di età Berlingueriana (vaniloquiante di “fluidificazione dei contenuti e destrutturazione della didattica disciplinare) ai perversi effetti del crollo demografico metà anni ‘90 (quando premura per l’alunno e per la cattedra si “consustanziarono”); per toccare, poi, i tristi fasti della “scuola-progettificio” (in declino per esaurimento cassa) e gli insigni risultati della più riuscita opera di diseducazione di massa mai realizzata da sistema televisivo (pubblico e privato uniti nella lotta). Sul punto, un solo esempio: certe luccicanti, plastificate, scipitissime gare di ballo e canto in tv, i cosiddetti “Talent Reality Show” (fa molto “fino” dirlo in inglese); perle rare come “Amici” (mediaset) e “Ballando con le stelle” (rai), dove è cosa del tutto normale che il concorrente non accetti il giudizio dell’esperto e addirittura giunga a contestarlo; e dove (quando si dice il perfezionismo) i giudici stessi litigano platealmente fra di loro, difendendo ora questo ora quello. Con il bell’effetto di diffondere la comodissima idea che ci si possa anche valutare da soli; e che chi giudica o non sa o non vuole farlo bene. La De Filippi e la Carlucci? Statene certi, hanno pesato più loro, sulla scuola italiana, di tutte le “commissioni” Berlinguer, Moratti e Gelmini messe insieme.

                                                                                                                         Gigi Monello