venerdì 24 ottobre 2014

IL PRINCIPE E IL SUO SICARIO



Roma, Settembre 1499, Rodrigo Borgia, in arte Papa Alessandro VI, volendo metter fine al secolare disordine del suo stato, dichiara decaduti tutti i vicari di Romagna; di nome feudatari, di fatto piccoli re. Con l’apparenza della ragion di stato, ma in realtà per libidine di grandezza, dato a suo figlio Cesare il comando delle milizie, lo incarica di recuperare le antiche dipendenze, concedendogli di farne un dominio tutto suo. Uno dopo l’altro, i signori romagnoli ora scappano, ora son travolti, ora patteggiano la deposizione. La sola Faenza si prepara ad opporsi e a difendere strenuamente il governo dei Manfredi. Attaccata nel Novembre 1500, la città resiste sino all’Aprile successivo, quando, ormai sul punto d’esser presa con la forza, onde evitare le brutture del sacco, capitola ad onorevoli condizioni. Andato a visitare il vincitore, forse circuito dalla sua affabilità, il giovanissimo Astorre accetta di restare con lui. Compiendo l’atto che lo perderà per sempre. Per un anno prigioniero in Castel Sant’Angelo, una notte il disgraziato scompare. Il 4 Giugno 1502 il Tevere ne restituisce il cadavere. Non ha ancora compiuto diciott’anni.



Come Cesare Borgia tolse dal mondo Astorre Manfredi
Con note sparse sopra la mente di un tiranno
€ 16.00
Autore: Gigi Monello
ISBN 978-88-906775-2-6
pp. 192

sabato 8 marzo 2014

il nulla, però frullato

Scuola e antiscuola
(da la tecnica della scuola
20/11/2013
)

di
Paolo Mazzocchini


C’è un antiscuola nella scuola? Credo di sì, se si pensa a quell’apparato sempre attivo, all’interno di ciascun istituto, nell’escogitare e produrre un numero infinito di attività cosiddette integrative e complementari della normale e ormai vetusta lezione ordinaria: stage, settimane culturali, progetti, uscite, iniziative pubblicitarie, conferenze, incontri con preti, carabinieri, politici, giudici, metereologi e chi più ne ha, più ne metta.
Non dico che tutte queste iniziative siano didatticamente inutili: alcune (molto poche) sono anche culturalmente interessanti e formative. Ma il guaio è che (nel timore fondatissimo che vengano altrimenti disertate dagli studenti) esse vengono piazzate, nella stragrande maggioranza dei casi, durante le ore di lezione. Non si tratta quindi di attività integrative, bensì sostitutive; e, a forza di essere così sostituita, la lezione ordinaria si sta smagrendo sempre più e i programmi (cioè le programmazioni curricolari) si riducono progressivamente, come filiformi torrentelli in un periodo di secca.
C’è forse un guadagno culturale a fronte di questa perdita, una maggiore ricchezza formativa per gli allievi che compensi l’emorragia di saperi curricolari?
Direi proprio di no: anzi, si instaura così quella che chiamerei la didattica del frullatore o dell’insalata mista, che non permette minimamente di sistematizzare (e perciò di assimilare profondamente e stabilmente) quello che si ascolta durante il bombardamento continuo ed eterogeneo di nozioni che provengono dai progetti, dagli incontri, dalle uscite ecc.
La presunta ricchezza di imput è spesso acqua sulla roccia del cervello degli allievi.
Il solo risultato è che da una ventina d’anni a questa parte (dall’esordio della scuola autonoma) io (per esempio) riesco a svolgere in un triennio liceale non più dei due terzi del programma che svolgevo prima. Grandi autori e fenomeni della storia letteraria rimangono esclusi dalla trattazione. Oppure, se ci si incaponisce a volerli trattare, lo si deve fare in maniera sommaria, perciò inutile.
Tutto questo nobile sistema viene sostenuto con forza e talora con protervia da chi dirige a vario titolo la scuola autonoma, perché ciò che conta è l’immagine (o l’apparenza) di modernità (non la vera qualità) che questo meccanismo garantirebbe ad un istituto di fronte all’opinione pubblica. Diversamente esso apparirebbe antiquato e non attirerebbe - ecco il punto dolente - le iscrizioni.
Ora, il danno più grande che a mio avviso questo sistema infligge agli allievi (oltre che alla derelitta immagine dei docenti) è l’idea che il lavoro curricolare sia una cosa vecchia, stantia, un misero tappabuchi del tempo che non si riesca a occupare con più brillanti progetti ed iniziative para- ed extra- di vario genere. Inoltre gli allievi stessi, senza avvedersene, sono trasformati continuamente da questo sistema in bersagli pubblicitari: perché buona parte di questi incontri - diciamocelo - è uno spot camuffato da conferenza o da lezione.
Purtroppo tutto ciò viene accettato passivamente da molti insegnanti, che mugugnano al massimo tra loro, ma non hanno quasi mai il coraggio di opporsi nelle sedi ufficiali a questo allegro andazzo.
Anche perché, va detto con franchezza, a molti di noi non fa proprio schifo, egoisticamente parlando, di starsene senza far lezione mentre i nostri allievi sono intrattenuti da altri, o impegnati in orientamenti, settimane bianche o autogestite o alternative...
Insomma, ad opporsi con forza a questo sistema si rischia pure di fare la figura del fesso!
Eppure, secondo me, anche su questo fronte si gioca il futuro della nostra scuola e, direi, anche della nostra tanto rimpianta immagine sociale, della nostra rispettabilità e credibilità.
Non mi pare cosa da poco.

Ps: dimenticavo di precisare che solo una piccola parte di questo turbillon di attività aggiuntive viene effettuata di pomeriggio: ma anche in questo caso i ragazzi vengono sollecitati a partecipare con la promessa solenne e formale che non verranno interrogati il giorno dopo. Così succede che il 90% di quelli che partecipano sono non proprio i più interessati, ma quelli che si aspettano di essere interrogati il giorno dopo...