giovedì 26 maggio 2022

LO STRANO CASO DEL PROF GIGI MONELLO

https://www.youtube.com/watch?v=HNK2gI6EUkw&t=11s

Davanti alla Legge c'è un guardiano. Da questo guardiano arriva un uomo di campagna e chiede che lo si lasci entrare nella Legge. Ma il guardiano dice che al momento non può concedergli di entrare. L'uomo riflette e poi chiede se allora potrà entrare più tardi. "Può darsi - dice il guardiano - ma adesso no". Poiché la porta della Legge è, come sempre, aperta e il guardiano si fa da parte, l'uomo si china per guardare attraverso la porta nell'interno. Quando il guardiano se ne accorge, ride e dice: "Se ti attira tanto, prova dunque a entrare, nonostante il mio divieto. Ma bada: io sono potente. E non sono che l'ultimo dei guardiani. Di sala in sala, però, ci sono altri guardiani, uno più potente dell'altro. Già del terzo non riesco più nemmeno io a reggere la vista". L'uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà, la Legge deve essere accessibile a chiunque e in ogni momento, pensa, ma poi osserva meglio il guardiano nella sua pelliccia, con il gran naso a punta, la barba tartara nera, lunga e sottile, e decide che è meglio aspettare finché gli venga dato il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere a lato della porta. Lì rimane seduto giorni e anni. Fa molti tentativi perché lo si lasci entrare e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano lo sottopone spesso a piccoli interrogatori, gli chiede del suo paese e di molte altre cose, ma sono domande indifferenti, come le fanno i gran signori, e conclude sempre dicendo che non può ancora farlo entrare. L'uomo, che si è provvisto di molte cose per il viaggio, le usa tutte, anche quelle di valore, per corrompere il guardiano. Questi accetta tutto, dicendogli però: "Accetto solo perché tu non pensi di aver tralasciato qualcosa". Durante tutti quegli anni, l'uomo osserva quasi ininterrottamente il guardiano. Dimentica gli altri guardiani, e questo primo gli sembra l'unico ostacolo per accedere alla Legge. Maledice il suo caso sfortunato, nei primi anni a voce alta, poi, quando invecchia, ormai solo brontolando fra sé. Rimbambisce, e poiché studiando per anni il guardiano ha imparato a riconoscere anche le pulci del suo bavero di pelliccia, prega anche le pulci di aiutarlo a convincere il guardiano. Infine gli s'indebolisce la vista, e non sa se intorno a lui si fa davvero buio o se sono gli occhi a ingannarlo. Ma nel buio distingue un bagliore che erompe senza mai estinguersi dalla porta della Legge. Ormai non gli resta più molto da vivere. Prima della morte, tutte le esperienze di quegli anni si condensano nella sua testa in una domanda, che fino allora non ha mai rivolta al guardiano. Gli fa un cenno, poiché non può più raddrizzare il suo corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano deve chinarsi verso di lui, poiché la differenza di statura si è molto spostata a sfavore dell'uomo. "Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "sei insaziabile". "Tutti aspirano alla Legge", dice l'uomo, "come mai, in tutti questi anni nessuno ha chiesto di esservi ammesso oltre me?" Il guardiano capisce che l'uomo è alla fine, e per raggiungere il suo udito che sta venendo meno, gli urla: "Qui nessun altro poteva ottenere di esservi ammesso, perché questa entrata era destinata solo a te. Adesso vado a chiuderla". 
(da, F. Kafka, Il Processo)



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