“Quella è una
classe pesante, non la posso prendere, io devo fare i progetti.”
(Dichiarazione autentica di una docente)
di Angelo Bertozzi
di Angelo Bertozzi
Nell’ultimo Collegio la coordinatrice ASL ci ha comunicato che al termine del percorso ASL i ragazzi non sanno fare il report, e non sanno fare nemmeno un semplice diario di lavoro. Come risolvere questo grave problema? Niente panico, facciamo un bel progetto ad hoc. (A quel punto la mia attenzione, alla parola progetto, si è istantaneamente azzerata per cui non ricordo bene ma mi pare sia previsto l’intervento di un esperto esterno)
Magnifico
esempio di cura omeopatica.
Ora
a parte il non trascurabile particolare dell’uso pervicace, insistito,
dell’inglese anche quando esistono eccellenti termini italiani equivalenti (relazione, rapporto, non vanno bene?), possibile che a
nessuno venga in mente che se gli studenti conoscessero in modo adeguato la
lingua italiana il problema di come redigere una relazione o un qualsiasi altro
tipo di testo si ridurrebbe a ben poca cosa? Possibile che nessuno veda che il
re è nudo? Possibile che nessuno dica a voce alta che abbiamo in aula sempre
più ragazzi semianalfabeti, e che anche quelli che non lo sono hanno comunque
una padronanza della lingua italiana decisamente precaria e insufficiente.
Certo,
capire il perché siamo arrivati a questo non è facile, credo che le ragioni
siano intricate e complesse, ma il primo passo è perlomeno rendersi conto che
il problema esiste e che è grande come un elefante.
Perché
una cura omeopatica?
Ho
detto sopra che le ragioni ritengo siano molte, ma sicuramente una è
l’impostazione attuale della scuola superiore. Mi riferisco a quella nefasta
cosa che è la “scuola azienda”, la “scuola dei progetti”, la “scuola
dell’Alternanza Scuola Lavoro”. Se noi togliamo ore ed ore curricolari,
impegniamo i ragazzi al pomeriggio in un tourbillon di attività varie
sottraendo tempo ed energie allo studio “tradizionale”, poi non è difficile
capire come gli studenti siano sempre più deboli in quasi tutte le discipline. La Scuola dei progetti è ormai
un luogo eterogeneo di attività varie, e non di rado pittoresche, delle quali
la meno importante è diventata ormai quella vecchia, antiquata e superata cosa
che è “fare lezione”.
Inoltre
anche quando ci si muove sul terreno delle discipline “tradizionali” l’ottica è
quella dell’addestramento; le ricette, l’allenamento ai test, la convinzione
che esistano sempre degli algoritmi, delle sequenze di istruzioni che
permettano di trarsi d’impaccio a fronte di un risultato da ottenere a tutti i
costi. L’idea che la scuola non sia solo addestramento ma istruzione e
soprattutto formazione sembra scomparsa. Concetti come: autonomia di giudizio,
spirito critico, creatività, consapevolezza che è giusto e bello imparare anche
cose che non hanno nessunissima utilità pratica e con le quali non si mangia,
sono espulsi dall’orizzonte dei nostri ragazzi, e sono cose che solo la scuola
può e sa dare, non certo quegli squallidi personaggi che si aggirano per le
aule promuovendo qualche “verbo” aziendalistico nelle ore di ASL.
Ma
al dunque cosa sono questi “progetti” e perché si fanno?
Una
ventina di anni fa qualcuno che al Ministero della pubblica istruzione (allora
c’era la parola pubblica) si annoiava
fece questa bella e originalissima pensata: ohibò la scuola non si fa solo in
aula, bisogna fare altro, bisogna aprirsi
al territorio.
In
pratica funziona così, un docente cui viene voglia di fare una cosa qualsiasi:
torneo di scacchi, conferenza sullo sbarco degli alieni, ultime novità sullo
Yeti, stage di cucina sarda, entomologia pratica, egittologia di base, medicina
ayurvedica, e via delirando…, presenta al Collegio docenti, per farselo
approvare, un bel progetto argomentando che l’attività proposta è congruente
con le finalità della scuola e con la sua didattica. Può sembrare difficile
spiegare che uno stage di cucina sarda in un liceo classico sia utile o
addirittura necessario ai ragazzi, ma non lo è perché nella scuola italiana ci
sono i migliori specialisti a livello mondiale nel campo dell’aria fritta. E in
ogni caso quando il progetto viene presentato al Collegio docenti chi ascolta?
E comunque chi vota contro un’iniziativa di un collega? Come si dice a Napoli pare brutto!
I
docenti che fanno i progetti inoltre si beccano qualche liretta in più.
Ora,
non penso certo che queste iniziative siano proprio TUTTE sbagliate o inutili
(molte si), non penso che i colleghi siano in malafede (alcuni si), penso che
sia una questione di priorità. A fronte di ragazzi che in storia si esprimono a
livello penoso, che faticano molto a capire concetti anche abbastanza
elementari, è utile occupare una o più mattine per portarli all’archivio di
stato a farsi una bella ricerchina su documenti originali? Piacerebbe a me,
senza dubbio, serve ai miei ragazzi? Forse a uno o due, e gli altri? Ha senso
prendere in una mattina di maggio una quinta liceo che si sta preparando
all’esame per portarla al torneo di bowling? Se proprio si vuole non lo si può
fare al pomeriggio?
Al
dunque alla conferenza sui diritti umani o sulla democrazia, magari per il
docente interessantissima, tenuta in non pochi casi da relatori che non hanno
la ben che minima idea di come si parli a ragazzi di 16-18 anni e che quindi
utilizzano un linguaggio e un lessico a loro pressoché incomprensibile, i
ragazzi compulsano il cellulare, chiacchierano, tentano di scappare. Che
effetti produce in loro l’importantissima attività? Che ricadute ha sulla loro
formazione? Inoltre di diritti umani o di democrazia può parlare benissimo il
docente in aula a ragazzi che conosce e con i quali è in atto una relazione
educativa, abbiamo proprio bisogno di un cattedratico esterno? Le cose che si
insegnano a scuola, superiori comprese, sono le conoscenze di base, le cose
acquisite, non le ultime novità scientifiche o accademiche (quelle lasciamole
alle università e ai dottorati) siamo laureati, abilitati, siamo perfettamente
in grado di insegnare quello che dobbiamo insegnare.
Anche
quando andavo a scuola io, qualche rara attività extracurricolare (fuori
dall’aula), si faceva, e ricordo bene la gioia nell’uscire dalle quattro mura
dell’edificio scolastico, il sollievo per le noiosissime lezioni di matematica,
filosofia, o altro, scampate. Da questo punto di vista non è cambiato proprio
nulla. I ragazzi a priori sono contentissimi
di partecipare a qualsiasi progetto, si esce dalla gabbia, verifiche non ce ne
sono, non si fa lezione e todos
caballeros.
Gli
studenti fanno il loro mestiere ma noi facciamo il nostro?
Diamo
ai ragazzi ciò di cui hanno più bisogno?
Considerazioni
del tutto analoghe valgono per le visite guidate e i famigerati viaggi
distruzione (senza apostrofo). Chi può pensare che non siano esperienze
bellissime? Certo che spesso lo sono, ma ancora una volta quali sono le nostre
priorità? Far contenti i ragazzi, socializzare piacevolmente, o tentare di
risollevarli da un’ignoranza e un’insipienza paurosa?
Un
viaggio d’istruzione comporta in media una perdita secca di una settimana di
lezioni, a volte anche di più, aggiungiamoci progetti, visite guidate, ASL, assemblee
di Istituto, assemblee di classe, elezioni, etc., quando si fa scuola? Quando,
e se, resta tempo.
Perché
i colleghi fanno i progetti? Sono cattivo lo so.
Si
becca qualche soldo, si esce dalla scuola e si fa qualcosa di più piacevole e
meno faticoso che tenere a bada un gruppo di riottosi adolescenti, si
acquisisce un’aura di docente bravo e impegnato.
Queste
temo siano le motivazioni, riguardo all’ultima sopraddetta registro un curioso
paradosso, spesso (non sempre) i colleghi che fanno molti progetti, essendo
appunto molto impegnati in quello, trascurano il banale e trito lavoro
quotidiano in aula, cionondimeno, per motivi che hanno a che fare con il
marketing scolastico passano per essere i docenti migliori, quelli che danno
più lustro alla scuola e si prendono
molto spesso il Bonus miglior docente, e così il cerchio si chiude.
E
intanto i nostri ragazzi stanno diventando sempre più ignoranti e
semianalfabeti.
Peppino
Verdi diceva: torniamo all’antico e sarà un progresso.
Mi
tolgo un ultimo sassolino dalla scarpa, nonostante tutti i miei sforzi non
riesco proprio a capire cosa significa “programmazione
per obbiettivi minimi”.
Proviamo
a prendere per una volta sul serio i vari documenti che ministero, scuole, enti
vari producono sulla scuola, la tanta, tantissima fuffa che sempre più, come
quella inquietante massa viscosa di non ricordo più bene quale film di
fantascienza, si espande, invade, occupa e soffoca la scuola e il nostro
operato.
-Capacità di esercitare la riflessione
critica sulle diverse forme del sapere e sul loro rapporto con la totalità
dell’esperienza umana. - Esercizio del controllo del discorso, attraverso l’uso
di strategie argomentative e di procedure logiche. 1. Riconoscere e utilizzare
correttamente il lessico e le categorie essenziali della tradizione filosofica;
2. Definire e comprendere termini e concetti; enucleare le idee centrali di un
testo; 3. Saper riassumere le tesi fondamentali di un testo proposto; 4.
Rispettare i principi elementari della logica nell’argomentazione; 5. Saper
ricondurre le tesi individuate nel testo al pensiero complessivo dell’autore;
6. Saper ricondurre gli argomenti trattati ai rispettivi contesti storici
generali a cui essi appartengono; 7. Saper confrontare e contestualizzare le
differenti risposte dei filosofi allo stesso problema- (Ptof del Liceo
Motzo – testo mutuato dal documento “Indicazioni nazionali per i licei DM 211
del 7 ottobre 2010”)
Gli
obbiettivi proposti in questi documenti, per la maggioranza dei nostri studenti,
sono semplicemente lunari, irraggiungibili. In particolare la filosofia per
motivi che richiederebbero una lunga disamina, per la quasi totalità dei nostri
ragazzi, è semplicemente inaffrontabile. In concreto quindi cosa si fa? Si
ridimensionano ampiamente i contenuti e gli obbiettivi ufficiali e a cosa
corrisponde quindi un sei? Al raggiungimento minimo degli obbiettivi così ridisegnati. Che cosa significa, da
sempre nella scuola italiana, un sei? Sufficienza: sei arrivato a quel minimo che ti consente di andare avanti
nello studio. I miei studenti “normali”,
(so che è odioso esprimersi così ma diciamocele le cose, andiamo oltre la
fuffa) sono quasi tutti in grave difficoltà nel raggiungere la sufficienza,
come fanno a cavarci i piedi ragazzi con ritardi cognitivi? Questo per quel che
riguarda gli alunni cosiddetti BES, (Bisogni educativi speciali) che vengono
avviati su percorsi in qualche modo differenziati, ma succede anche altro, mi
sono ritrovato in una quarta due ragazze con evidentissimi problemi
comportamentali e ritardi cognitivi senza sostegno, senza PEI, senza PDP,
percorso liscio, senza nessun supporto e ausilio, come sono arrivate in quarta?
Chi
stiamo prendendo in giro? Le ragazze? Le famiglie? La scuola? Noi stessi?
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